**Warning!** Non leggete! Sono considerazioni personali, noiosissime e assolutamente ripetitive. Non servono a migliorare la vita sul pianeta Terra, non aggiungono nulla alla narrativa italiana e/o internazionale, men che meno aiutano l’editoria disastrata e in crisi. Non servono a riprendersi da una depressione improvvisa, non spostano montagne, non sono scienza infusa. Sono soltanto scarabocchi alla rinfusa. Non perdete nulla a non leggere mentre il farlo potrebbe invece caricarvi di ulteriore noia e ammazzarvi di sbadigli.
AVEVO SUL SERIO BISOGNO DI UN MITO? (Considerazioni personali di un lunedì mattina qualsiasi parte seconda)
A farmi scoprire Mika era stato mio figlio Gulli, il più grande, allora di 13 anni. Grace Kelly, ma soprattutto Lollipop e We Are Golden erano le sue canzoni preferite di quegli anni e le ascoltava in continuazione. Mi era anche capitato di vedere Mika in televisione, ospite al Festival di Sanremo nel 2007, ma non era scattata nessuna particolare “molla” che mi facesse interessare a lui in maniera specifica. Certo, mi piaceva come cantante. Lo trovavo molto più originale e differente, qualcosa della sua musica toccava le mie corde in maniera più assidua, rispetto ai bei ritornelli e alle piacevoli melodie di altri che distrattamente ascoltavo per radio e di cui non mi ricordavo né i titoli né il nome degli interpreti. Una cosa, ricordo con molta precisione: se passava un po’ di tempo senza sentire una sua canzone nuova, mi preoccupavo. Mi dispiaceva che il suo successo scemasse nel tempo, che si rivelasse una meteora come altri in passato. Quel ragazzo dalla voce speciale aveva qualcosa in più che non avrei voluto scomparisse.
Poi, come già detto ormai anche ai sassi, Xfactor 6 e il duetto con Chiara. Un flash. Un fulmine a ciel sereno. Una spada che ti trafigge il cuore e ti passa da parte a parte. Non per lui (che, lo ammetto, avevo persino ritenuto in quell’occasione più “bruttino” e un po’ invecchiato) ma per la sua voce, per la musica, per la chimica tra i due cantanti. Qualcosa che veniva sublimato sopra di loro, e che si diffondeva sul pubblico e usciva dal tubo catodico, arrivava nelle case, arrivò a me, inebriandomi.
Una storia molto accattivante, bisogna dirlo. Figlio di una famiglia che attraversa negli anni molti alti e bassi, un padre rapito e rinchiuso sette mesi in un’ambasciata durante una delle più brutte e crudeli guerre di fine primo millennio, una madre costretta a vendere le proprie proprietà per mantenere la famiglia e sopravvivere, riparando in un residence. Riprese economiche rapidissime e immediate ricadute successive. Tante ne sono occorse alla famiglia Penniman. E per Mika anche un’esperienza triste di bullismo, subito dai compagni e dagli stessi professori. La dislessia, la diversità fisica ed esibita attraverso un abbigliamento eccentrico, non omologato e a un comportamento differente da tutti gli altri ragazzini della sua età.
Certo, a me le storie seducono sempre. E questa pizzica in particolare corde a me molto care, conosciute. Anche io sono stata “una bambina diversa”. Bizzarra. A cominciare dal nome. Ho subito atti di bullismo (allora non erano riconosciuti tali, ma normali “incidenti” del vivere sociale tra bambini) da compagni e compagne ai quali però ho sempre reagito, picchiando duro se necessario, e meritandomi con orgoglio il nomignolo di “maschiaccia”. Anche io a scuola ero considerata strana e diversa dagli altri perché tendevo a isolarmi per fantasticare e a raccontarmi le storie che nessuno era in grado di raccontarmi, a volte utilizzando un filo d’erba. So come ci si sente quando la maestra o il professore ti fa sentire in colpa perché sei troppo con la testa tra le nuvole o lavori troppo di fantasia ma soprattutto perché non ti adegui alle regole stabilite per tutti, non ti comporti come tutti gli altri tuoi compagni. So quanto pesa quel senso di colpa, soprattutto perché maggiore è l’oppressione che quel sentimento esercita su di te, più forte e imperativa è la consapevolezza di non poter essere altrimenti, di non poter diventare, nonostante impegno e sforzi enormi, diversi da ciò che si è.
Insomma, la storia di Mika mi colpisce ma non ancora in modo da entusiasmarmi. I colpi che saranno inferti al mio già vacillante scudo protettivo contro i facili fanatismi saranno vari, e ben assestati, e mi verranno dati in particolar modo da alcune sue canzoni: Underwater prima di tutte.
Ascolto la canzone, ma soprattutto vedo il video ed è come se qualcuno di notte avesse saccheggiato le mie idee, le mie visioni, le mie fantasie.
Alcuni anni fa ho scritto un romanzo, fantasy, ambientato nel mondo degli abissi, qui su questo blog ci sono alcuni passaggi, sotto il titolo Le Cronache di Aquanive. Scritto per tre quarti ma mai ultimato.
Quel video – e quella canzone – ripercorre alcuni tratti salienti del romanzo anche se in realtà è stato realizzato molti anni dopo.
Poi, la scoperta di Any Other World, canzone all’interno di Love in cartoon motion, primo album di Mika.
“In qualunque altro mondo tu faresti la differenza”
queste le prime battute della prima strofa della canzone
“E tutto è nelle mani di un uomo molto, molto amaro”
ma anche
“Così umano come sono, ho dovuto rinunciare alle mie difese”
Quelle parole toccano la mia anima e mi legano a doppio nodo con Mika. Ma ancora non è abbastanza.
E’ la scoperta di Over my shoulder, canzone scritta da Mika tra e 15 e 17 anni che abbatte il muro facendolo letteralmente sbriciolare. Perché quella canzone è un grido. Di malinconia, di rimpianto, forse, invece, solo stupore. Una giovane anima che si interroga e indaga. Forse una domanda di fede, forse una domanda alla propria fede: chi sono io? E se sono così, è davvero così sbagliato? E’ sicuramente una canzone, un testo di ricerca della propria identità. E’ la canzone di Mika che io amo di più in assoluto.
(scelgo tra tutti i video su YouTube, questo, di Mika live a New York nel 2013 durante il suo Intimate Evenings tour, perché è emozionalmente la più bella interpretazione di questa canzone, oltre che ad avere, all’inizio, come introduzione alla canzone stessa, un pezzo di Symbolum 77, un canto da messa contemporanea, tra i miei più amati. Ogni volta che durante la funzione viene intonato questo canto, difficilmente riesco a terminare di cantarlo senza commuovermi fino alle lacrime. Questa canzone sacra tocca profondamente il mio cuore, e il fatto che Mika la abbia inserita proprio a introduzione di questa sua mi ha, all’epoca sconvolto)
In terza elementare, ricordo esattamente quando avvenne, la maestra ci fece leggere un testo bellissimo che parlava di un cavallo e di un papà che non tornava, di una rondine al nido, di piccoli che aspettavano e che piano piano smettevano di pigolare. Era X Agosto, di Giovanni Pascoli. Ricordo in particolare lo stupore mio di fronte a quello strano modo di scrivere una storia. Non era la maniera classica per farlo, ma, come ci spiegava l’insegnante, quella era una poesia. Avevo solo otto, forse nove anni. Eppure il pensiero che in quel momento mi attraversò fu talmente forte e intenso da ricordarmelo ancora, come se lo avessi pensato oggi:
“Caro Pascoli, da oggi questa poesia, anche se l’hai scritta tu, non è più tua. Da questo momento, questa poesia è mia! Mi appartiene”.
Ho passato anni a chiedermi cosa mi fosse passato per la testa in quel momento e a riflettere su quell’urgenza di “possedere” quelle parole.
Oggi, dopo aver tanto scritto e aver capito che scrivere mi è necessario come respirare, ho compreso che ci sono forme d’arte che ci appartengono anche se non le abbiamo realizzate noi stessi. Ed è lo scopo ultimo dell’Arte, quella di conquistarci al punto da metterci in comunione con essa, farcene divenire parte. Quando ho ascoltato per la prima volta Over My Shoulder ho avuto la stessa sensazione di quando, a otto anni, decretavo Giovanni Pascoli il mio poeta preferito in assoluto, e ho desiderato che quelle note e quelle parole (semplicissime, in realtà, Mika ha testi più elaborati e più artisticamente complicati) diventassero miei per davvero. L’analogia tra Pascoli e Mika e la poesia della “cavallina storna” non è a caso: la poesia si intitola 10 agosto, Mika è nato in agosto. Pascoli è il poeta del “fanciullino”, Mika incarna in se stesso il “fanciullo” che anima l’essere di tutti noi. Mika ha scritto Over My Shoulder probabilmente intorno agli anni 1994-1995, anni in cui io allattavo al seno il mio primo figlio, un fanciullino appunto.
Non è solo la musica di Mika che mi cattura. Non sono solo le sue parole. E sicuramente non la sua avvenenza, che è comunque notevole. E’ lui, semplicemente. Il suo modo di essere, la sua saggezza nonostante la giovane età. In realtà per intelligenza, cultura ed equilibrio quell’uomo-ragazzino è più vecchio di almeno vent’anni rispetto alla sua età anagrafica. E’ per il suo modo di porsi. Semplice, umile, sempre gentile, affettuoso con i fan, attentissimo con quelli con disabilità, molto disponibile per la gente comune, diplomatico ma un po’ indifferente per i “fan famosi”. Il più delle volte, per lo meno. Ovvio che sia fatto di carne e non di legno, e lui racconta di essere spesso scazzato, di litigare molto con le sorelle e la madre che lavorano e collaborano con lui; capita a tanti e spesso, del resto. Anche Mika è di questo mondo. Non gli sono note cadute di stile, esternazioni di sregolatezza, comunque. E’ umano e attento alle miserie degli altri. E’ genuino. E’ umile. L’ho già detto prima ma mi piace ripeterlo. Quando a Parigi in febbraio del 2013 viene organizzata una camminata per i diritti dei gay, lui vi partecipa.
Ma non sbandierandone la partecipazione come altri suoi colleghi “Vip” in altre occasioni, per attirare su di sé l’attenzione e i paparazzi. No, camminando in mezzo alla gente comune, alle famiglie, ai gay desiderosi di avere uguali diritti come gli etero. E poiché doveva partecipare a un evento di beneficenza, Les Enfoirés programmato per la sera stessa, arriva in ritardo alle prove. E per farlo, prende il Metro, come un comunissimo essere umano mortale. Questo di Mika mi ha colpito. E affondato nella profondità della venerazione. Un uomo tra i tanti. Un uomo innamorato di un altro uomo, tra i tanti in quella camminata. Ecco innamorato. Tout simplement. Lo dice spesso, di esserlo, dal 2012 in poi. Ma di amore e dinamiche amorose le sue canzoni sono piene anche prima di quella data.
“Leggete i testi delle mie canzoni, lì c’è scritto tutto!”
Dice più volte a quanti gli chiedono se sia etero o omosessuale.
Alla fine del 2010, alla famiglia Penniman accade una disgrazia che rischia di far saltare tutte le dinamiche di unicità che vigono in essa: Paloma, la sorella secondogenita ha un incidente terribile e rischia la vita, prima, la paralisi totale, poi.
Mika abbandona ogni attività musicale e si rinchiude nell’ospedale accanto alla sorella insieme ai suoi. E’ legatissimo alla sua famiglia; le sorelle, il fratellino, e soprattutto la mamma sono i suoi punti di riferimento più importanti. Non c’è concerto nel quale abbia cantato a cui non abbiano partecipato tutti o almeno alcuni di loro. E’ a sua madre che chiede consigli sulla sua carriera, sul suo look, alle sorelle fa ascoltare per primo le sue canzoni. L’intero mondo di Mika, quel mondo fatato e colorato che ha dipinto così bene in Live in cartoon motion, e che ha ripreso con The boy who knew too much, il suo secondo album, con l’incidente di Paloma rischia di sgretolarsi.
Sono momenti terribili, quelli che permettono ai Penniman di capire l’importanza di essere uniti e il valore della propria vita, dell’urgenza di vivere con sincerità e onestà i propri sentimenti. Mika affermerà più volte in seguito che proprio in questo periodo incontra – o forse incontra di nuovo – una persona di cui si innamora follemente. E parte. Vola a Miami, prima a Los Angeles poi, per scrivere il suo album più bello, il terzo, The Origin Of Love.
In questo album la canzone che dà titolo all’album è un inno all’amore più folle e tenero, irrazionale e irresponsabile come deve essere, profondo e duraturo come tutti si aspettano che sia. Mika la dedica “all’uomo che ama” in una dichiarazione commovente e carica di timidezza, a settembre 2012 all’Heaven di Londra. Da soli tre mesi aveva ammesso, in un coming-out semplice e naturale, senza strombazzamenti e pruderies, di essere gay. Era stata l’ammissione di un uomo che ha capito, che ha trovato se stesso ma soprattutto che non ha più paura di mostrarsi esattamente com’è. Un uomo oggi, di quasi 30 anni che ha trovato la propria identità e non ha intenzione, non più – non ne vede la ragione – di nascondersi. E’ famoso, è pop-star, è osannato dalle platee, al concerto che darà in Luglio 2013 a Parigi per festeggiare la legge sui matrimoni gay, parteciperanno in più di 30.000, dimostrazione di quanto sia popolare e famoso. Ma umanamente, privatamente, resta una persona autentica, semplice ancorché originale ed eccentrica.
Questo, tutto questo ha fatto colpo su di me più che il resto. Sono da sempre alla ricerca di conoscere persone vere e non icone, uomini o donne che siano autentiche e non pre-costruite. Ho sempre detestato i miti, ho rifuggito il mondo dello spettacolo dove ho iniziato a lavorare già dalla mia adolescenza, perché l’ho sempre considerato frivolo, viziato, anche un tantino peccaminoso. In Mika trovo invece la spontaneità e l’innocenza propria della quotidianità. Non è ovviamente un santo, si sente dalle parole stesse che scrive nelle sue canzoni che è tutt’altro che ingenuo, la sua musica, la sua stessa voce sono carezze sensualissime, a volte persino molto ammiccanti. Ma la sua è innocenza dell’essere, onestà e genuinità d’animo, che attingono al suo vissuto e che arrivano e incantano.
Apprezzo in lui l’attaccamento alla famiglia come valore primario e punto di forza. E anche la segretezza gelosa che mostra nei confronti del suo compagno che, di recente, ha rivelato di amare da ben otto anni. Un compagno che ovviamente desta molte curiosità da parte dei fan e dei media ma che lui vuole preservare dalle cattiverie che immancabilmente uscirebbero se fosse palesato. E la dolcezza con cui è capace di amare il suo cane, Melachi, mostra e dimostra che è una persona estremamente dolce e passionale anche nelle sue manifestazioni sentimentali. Dice di
“essere romantico come uno sgabello da bar”
ma poi scrive canzoni come “L’amour dans le mauvais temps” che dimostrano tutto il contrario.
Ok, va bene, abbiamo capito. Ma tutto questo excursus qui? Perché? C’era bisogno di scrivere tutta sta pappardella mielosa e melensa?
E’ ciò che mi domando anche io. L’unica risposta che mi sono saputa dare è questa: il blog è mio e vi scrivo ciò che voglio io. Mika è questo, per me:
Una Musa.
Scrivere di lui e su di lui mi fa bene. Fa bene alle cose che scrivo. Per questo, non penso smetterò mai di ascoltare ciò che canta, leggere ciò che scrive, seguirlo nei suoi cambiamenti e nelle sue scelte. Non mi importa se non farà più concerti, se deciderà di condurre un programma televisivo, se si ritirerà in una baita tra i boschi con il suo cane e il suo amato compagno a far passeggiate all’alba e a rimirare il sole che si rifrange sull’acqua del lago. Non mi importa che si tagli i capelli o li lasci crescere fino alle spalle. Mi basta sapere che è contento di ciò che fa e che sia felice. Di essere ciò che è. Come io, lo sono di ciò che sono.
Avevo proprio bisogno di un Mito? No, non ne avevo bisogno. Ma è arrivato, mi ha colpito come un fulmine a ciel sereno e non ho potuto evitare di rimanerne investita. Perché proprio lui, tra i tanti? Perché, con ogni probabilità, le Anime si incontrano nell’etere e quando ciò avviene, a volte si riconoscono. Si salutano, si sorridono e il più delle volte si separano e riprendono il cammino a loro destinato. A volte capita che qualcuna rimanga impigliata nella rete dell’immaginario. Probabilmente alla mia Anima è successo questo.