In questi giorni di Natale, tra una portata di leccornie sapientemente cucinate e l’altra, non ho potuto fare a meno di riflettere su tante cose che riguardano la “mia vita altra”, quella che mi coinvolge sempre di più e che ha a che fare con la scrittura, l’editoria, la lettura e, purtroppo, pure il mercato.
Una delle riflessioni di queste ultime ore, è triste, a volte sconfortante. Mi rendo conto all’improvviso che in me c’è poco dell’autoreferenzialità di un autore e dei suoi capricci, delle sue esigenze personali e individuali, mentre c’è tanto di quello che un tempo mi sarebbe piaciuto essere: imprenditore. Al maschile volutamente, perché l’esempio che ho, ancora degli anni dello “yuppismo” sfrenato degli anni ’80 e il sogno di un’imprenditoria audace, inarrestabile e carica di innovazione, sperimentazione, rischio e vittoria è prettamente maschile. Unico riferimento femminile di quegli anni, una troppo prematuramente scomparsa Marisa Belisario.
C’è molta imprenditoria in me perché non riesco, dicevo, appunto, a togliere dal mio sentire quel senso di pesantezza e di frustrazione che pesa sulle mie spalle quando vedo un editore entusiasta e vivace agonizzare e far fatica a uscire dalla melma che la crisi economica e probabilmente anche quella dell’editoria selvaggia e sfrenata dei colossi che stritolano e devastano in nome di un centesimo in più di guadagno sta facendo alla pubblicazione e alla narrazione a livello mondiale.
In quanto autore, dovrei farmi carico solo di ciò che scrivo.
Dovrei pensare solo al fatto che un editore ha accettato di pubblicare un mio manoscritto, che ha deciso di rischiare del suo (denaro, sforzi, tempo) per dare vita a un libro con il mio nome in copertina. Dovrei pensare solo a come promuoverlo al meglio, dando per scontato che il compito di venderlo e in svariate migliaia di copie è dovere assoluto dello stesso editore, io, per me stessa, in quanto scrittore (sempre maschile, perché il maschile nell’editoria è più potente e fa più presa) dovrei solo valutare le richieste da parte di associazioni, librerie, biblioteche a presenziare a presentazioni nei quali mostrare la mia parte “intellettuale” al meglio e dare sfoggio della mia erudizione.
Io, per me stessa, dovrei solo pensare a “brillare” e mostrare il mio volto accanto alla copertina, certa che tale esibizione dà comunque lustro alla casa editrice stessa, che ha avuto “l’onore” di pubblicare il mio libro. Io, per me stessa, dovrei solo pensare a “piazzare” il secondo, il terzo o fors’anche il quarto romanzo, magari, visto che non sono più un’esordiente, trovarmi un agente che mi rappresenti e che mi lanci nel meritato gotha degli “scrittori arrivati”.
E invece, autore non sono poi così tanto, perché non riesco a non pensare alla fatica che fa il mio editore per piazzare i libri a catalogo nelle librerie indipendenti, che sì, ti accettano – quando ti va bene – i libri in conto vendita ma poi li lasciano a impolverarsi nello scantinato ancora dentro gli scatoloni imballati, che non consigliano ai lettori forti che bazzicano tra i loro scaffali “un nuovo libro di scrittore poco conosciuto ma che pubblica per una casa editrice rampante e che fa bei libri originali e differenti” ma fa più facile proporre quelli che vanno per la maggiore, che sono strombazzati ai talk show e ai format libreschi televisivi e non, che vanno via come il pane perché “voglio regalare un libro, ma non so i gusti della persona, per cui, mi dia qualcosa che vada bene per un po’ tutto”. Un libro come un etto di prosciutto cotto Rovagnati: bella la firma, sicuramente il sapore sarà quello che conosciamo un po’ tutti, vai sul sicuro che non fai brutta figura. Non posso fare a meno di pensare al mio editore che legge manoscritti che arrivano a tonnellate, tra carta e fogli digitali per email, che valuta (e si prende il tempo che serve per leggere e valutare, rubando le ore al sonno, dopo giornate campali passate a scaricare scatoloni e a rincorrere creditori) e che decide di imbarcarsi nell’ennesimo investimento, che edita, che scrive quarte di copertina e comunicati, che invia suddetti comunicati ai siti di giornalismo e recensioni, che pianifica copertine, che stampa, che spamma condividendo a man bassa sui social ricevendo spesso insulti dai gestori di suddetti social network perché spammare è politically incorrect, (ma che deve fare uno per ottenere un briciolo di visibilità?). E non posso fare a meno di pensare al mio editore che sconfortato mi telefona a qualche giorno dal Natale (che io ho appena trascorso, tra vivande e libagioni di cui sopra, a chiedere basta cibo perché ne abbiamo ingurgitato tanto) e mi confessa sconfortato che un’ennesima libreria importante ha chiuso i battenti, che forse ha perso pure i soldi dei libri (pochi) che ha venduto, e che lui, quel Natale lì, lo ha trascorso correndo in giro per la sua regione a raccogliere i libri rimasti nei magazzini, per non dover perdere pure quelli, altro che cibo altro che leccornie! Non posso non chiedermi “ma chi glielo fa fare a quei pazzi delle piccole case editrici NON A PAGAMENTO, le NOEAP che lottano contro i mulini a vento – e credetemi, di Case Editrici così ce ne sono, e tante, non è vero che non ne esistono più! – come Don Chisciotte (si scriverà così? Sto scrivendo di getto, chiedo venia per tutti i refusi che sto mettendo in questo post) per pubblicare libri di qualità e magari anche originali, differenti, non politically correct? Chi glielo fa fare agli editori piccoli di buttare via soldi, tempo, e salute per pubblicare me, autore emergente, tronfio e convinto di essere il “nuovo che avanza”, in “nume della nuova letteratura?”.
E allora ecco che quell’imprenditore che cova in me dagli anni ’80 anziché tirar fuori dal suo cassetto virtuale il manoscritto-capolavoro che sa, il suo editore probabilmente con sforzo immane deciderebbe pure di pubblicare, si nasconde per pudore e invece dice: “forza, dai, vediamo di trovare una soluzione. Qualcosa che venda e che risollevi le sorti dell’azienda, che dia linfa nuova e permetta a tutto il catalogo di respirare” e addirittura medito di rifiutarmi di pubblicare ancora, per non pesare sulle spalle già appesantite del mio editore.
C’è troppo poco autore in me per essere autore sul serio. E non c’è nemmeno imprenditore, a dire il vero, perché oggi, fare l’Editore è da folli, da pazzi, da visionari. E se mi chiedo “Ma chi ve lo fa fare?” significa che forse non ho capito nulla di cosa vuol dire essere folli, pazzi, visionari e sognatori.
Per fortuna che di folli, pazzi, visionari e sognatori, al mondo comunque ancora ce ne sono, e quindi, Buon Anno, Editore NOEAP, ovunque e chiunque tu sia, che il 2015 ti sia lieve e che sia pieno di successi e di vendite di libri.
E Buon 2015 anche a te, Lettore Esigente: se vuoi leggere qualcosa di bello, di lavorato, di faticato, compra i libri delle piccole Case Editrici di Qualità, che pubblicano i libri audaci che le “Grandi Case Editrici” ormai non hanno più il coraggio di pubblicare.
Buon Anno a tutti, folli, visionari, pazzi e sognatori.
L’editore è un folle, è vero. Se fa il suo lavoro lo è. Cosa serve per farlo? Credere in ciò che fai, niente di più. Non mandi in giro libri per gioco, ma per quel pizzico di follia mecenate che c’è in te. Auguri mecenati, auguri folli, auguri autori che scrivono ancora per mandare messaggi, dare speranze, regalare momenti di evasione e baciare sulla fronte ogni singolo lettore delle proprie “fatiche”.
Auguri, a chi ancora crede alla speranza, senza “se” e senza “ma”. Sperare è un sogno da fare a occhi aperti.
Auguri anche a te cara, carissima Amneris. Tu non hai ancora capito le tue potenzialità, il mio augurio per l’anno nuovo è che le comprenda, applicandole come solo tu sai fare.
Un bacio
Luca
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Luca, grazie infinite! Poiché ti conosco, so che sei sensibile ai folli, pazzi, visionari e sognatori. perché tu sei uno di questi! Un bacio ricambiato a tua moglie e a tuo figlio, anche e augurissimi di un 2015 meraviglioso per te e famiglia!
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Pazzo, visionario e sognatore. Tra qualche settimana dimostrerò di essere tutto ciò.
Grazie bella, me lo auguro e te lo auguro.
A presto
Luca
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Auguri ai folli e ai sognatori, se ancora ci sono. Saluti sconfortati. E tante buone cose a te, Amneris!
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Anche a te, ricambio, mia cara sister!
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Mi sono ritrovata nelle tue parole, non sò se dire che la tua fortuna è stata quella di aver trovato un editore che ha scommesso su di te, che ha passato notti insonni per portare in giro il tuo manoscritto. La mia casa editrice no, di certo…ha solo “messo il mio libro in piazza” su alcuni siti web di distribuzione libraria, il resto l’ho fatto da sola. Ed è un anno che mi pubblicizzo da sola, presento il mio libro da sola, mi autofinanzio da sola e a loro ho pagato 900 euro con la promessa anche scritta che avremmo fatto la presentazione ufficiale del libro insieme. E adesso a Gennaio anzi, aspetto il resoconto finanziario della vendita del libro online perchè non è distribuito nelle librerie. Sinceramente non è per i soldi quanto per il messaggio che desidero inviare che ho scritto il libro e non credo che ne scriverò un altro…dovrei riavere quel flusso speciale che ti fà scorrere la penna sui fogli senza sosta ma per ora, mi viene solo attraverso il mio blog e sfogo là i miei pensieri. Auguri a te e al tuo editore, amica di penna!
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Sara, grazie. Mi fa piacere immenso sapere che ti ritrovi nelle mie parole. Sì, sono fortunata ad aver trovato un editore che non solo ha scommesso su di me ma porta avanti il mio libro – insieme a tutti gli altri a catalogo – con entusiasmo e voglia di fare. Ma la promozione è comunque parte del lavoro anche dell’autore, e quell’inattività che descrivi è comune a tante case editrici, non solo piccole. Quello però che leggo – che hai pagato 900 euro – non mi piace: hai pagato per pubblicare? Non si pubblica attraverso case editrici a pagamento. E’ controproducente e garanzia di NON essere promossi affatto. Le Case Editrici che si fanno pagare la pubblicazione (o i servizi editoriali a fronte di una pubblicazione) hanno già avuto il loro tornaconto e non ti promuoveranno o ti agevoleranno in nulla. mai. è assodato ormai. Spero non sia il tuo caso.
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Credo sia il mio…mi ero documentata su internet, ho chiesto ad alcuni amici scrittori e mi hanno detto che molte case editrici piccole si fanno pagare e che e’ normale agli inizi. Aspetto che il contratto cessi ma intanto spero che mi paghino le copie vendute perche’ so’ con certezza di averne vendute molte anche a Londra, dove ho dei cari amici.
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Mah, non so che “amici scrittori” possano averti detto che è normale. Scusami Sara, davvero, non ti conosco, ma quando incontro qualche aspirante scrittore che dice di aver pubblicato a pagamento, mi viene spontaneo subito subissarlo di consigli riguardanti il NON pagare. Ci sono molti siti online a sostegno degli aspiranti scrittori, tra cui il Writer’s Dream, che ha un forum molto attivo e che dà una serie di informazioni importanti a chi vuole pubblicare e che affronta la ricerca di una Casa Editrice per la prima volta. Ti assicuro che chi veramente si occupa di editoria in maniera seria (e non necessariamente a livelli di “Big”) ti dirà sempre e fino alla nausea che NON SI PAGA PER PUBBLICARE, che di Case Editrici che pubblicano senza chiedere contributi (che possono essere non necessariamente soldi, ma anche copie minime da acquistare, o servizi editoriali, quali editing e promozione a fronte di una pubblicazione) ce ne sono e parecchie (e sul sito Writer’s Dream troverai l’elenco delle Case Editrici FREE) e appunto a quei “sognatori, visionari, pazzi e folli” mi rivolgevo in questo post.
Se comunque vuoi saperne di più e vuoi parlare più approfonditamente dell’argomento, chiedimi l’amicizia su facebook oppure chiedi di iscriverti al Fiae Forum https://www.facebook.com/groups/fiaeforum/ la cui descrizione trovi anche in una delle mie pagine di questo blog. Un abbraccio e in bocca al lupo!!!
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