All’inizio scrivevo solo poesie.
Non riuscivo a utilizzare nessun’altra forma di narrazione.
E poi le amavo.
Le ho amate da sempre.
In prima elementare, credo, mi presentarono una poesia. Era di un tal Giosuè Carducci. Parlava di nebbia, di vino, di profumi dell’inverno. Lo ricordo perché era strano quel nome, “Giosuè”, e da quelle parole, davvero, riuscivo a sentirne gli odori e immaginarne i colori. Ricordo anche ciò che pensai in quel momento: “Scusami, Signor Giosuè, ma da questo momento, questa poesia è mia. Non ti appartiene più. Mia.” Non sto inventandomi nulla, l’ho davvero pensato e per anni, l’unica forma sul serio di arte che potevo reputare tale nella scrittura era la poesia.
A 9 anni, alla vigilia del giorno della festa della mamma, scrissi la mia prima poesia. Breve ma intensa. L’unica che ancora oggi io mi ricordi a memoria:
Mamma
E’ sempre colei che ti perdona.
Sempre pronta a consolarti col suo dolce sorriso
Non darle dispiaceri,
Ella soffrirebbe tanto
E avrebbe sempre gli occhi velati di pianto.
Dopo averla scritta, orgogliosa la mostrai alla maestra. Lei mi chiese da chi l’avessi copiata. Le dissi che l’avevo scritta io e la maestra non solo non mi credette ma mi mise in punizione e mi diede una nota sul registro. Dovette intervenire mia madre per farmi togliere la nota e soprattutto riabilitare la mia “arte” alla maestra.
Con la mia amica del cuore delle medie, Monica, eravamo innamorate di Jacques Prévert. Lei era più fortunata, però, perché nella libreria di sua madre aveva trovato un cofanetto rosso, di quelli eleganti, rilegato in oro e velluto, contenente tre piccoli volumetti con tutte le sue poesie. Quando andavo da lei al pomeriggio a studiare, sgattaiolavamo in salone e aprivamo la teca dei libri “rari” e rubavamo quel cofanetto, poi di nascosto, quasi un’avventura proibita, ci nascondevamo in camera sua a declamare quei versi.
Immense et rouge
Au-dessus du Grand Palais
Le soleil d’hiver apparaît
Et disparaît
Comme lui mon coeur va disparaître
Et tout mon sang va s’en aller
S’en aller à ta recherche
Mon amour
Ma beauté
Et te trouver
Là où tu es.
Le leggevamo in italiano, ma cercavamo di recitarle anche in francese. Credo che la mia passione per quella lingua, da me così amata negli anni della mia giovinezza, sia dovuta proprio alle poesie di Prévert, ma non solo. Al liceo – linguistico ovviamente – scoprii Guillaume Apollinaire e le sue poesie dalla grafica particolare e fu una folgorazione. Lo ritenni un genio e lo amai come forse non ho amato nessun altro poeta.
Del resto chi ha la capacità di immaginare, ideare e realizzare calligrammi del genere è qualcosa che va molto oltre il genio. Lasciatemelo dire.
Insomma, Prévert, Apollinaire ma anche Baudelaire. E gli italiani: Cesare Pavese – immenso e amatissimo sopra qualunque altro autore – Salvatore Quasimodo, Alda Merini. I miei “Amici Poeti”. E mentre ascoltavo le lezioni di letteratura inglese, francese e italiana (ovviamente) in un quaderno che avevo preso in prestito dallo Zibaldone di Leopardi, buttavo giù scarabocchi e parole. Da lì il titolo di questo blog e della raccolta che oggi è uscita.
Sono le mie parole più intense. Quelle che mi derivano dall’anima. Quelle che, un giorno pensavo, avrei inanellato e poi indossato come una collana. Frammenti di specchio attraverso i quali osservare la vita. E che mi sono regalata in forma di ebook e di libro.
Oggi esce Sono Solo Scarabocchi. Poco più di 50 poesie dei miei anni verdissimi. Parole che amo ancora moltissimo. E il libro del quale sono più emozionata. In ebook e in carta. La consulenza grafica sia per la cover – magnifica – che per l’ebook e il libro è stata realizzata da Luna di E’ Scrivere.