Avevo guadagnato una “cifra inaspettata” dalle mie traduzioni e ho deciso di farne buon uso. Per cui mi sono messa a girellare su Amazon e ho acquistato sei/otto ebook di quelli in offerta a 0,99 cent. Siccome mi piace il romance e pare che questo genere sia l’unico che mi permette di sollevare lo spirito in tumulto, ho soprattutto vagato nelle sezioni di questo genere letterario. E ho voluto dare una chance a un nuovo “Regency” o “Storico” che dir si voglia.
Per amore del Duca, di Christi Caldwell. La copertina era d’effetto – e sebbene io dica spesso che non compro mai un libro facendomi conquistare dalla copertina, in questo caso, non conoscendo bene l’argomento, ho dovuto fare di necessità virtù – la trama incuriosiva, l’estratto piacicchiava. E poi, suvvia, 0,99 cent? Il costo di un caffè al bar? E che sarà mai? Comprato.
La lettura si è dimostrata immediatamente ostica. E questo non tanto per la particolare difficoltà del testo che invece si è dimostrato fin da subito estremamente elementare, oserei dire persino scialbo – in genere i libri di questo genere letterario, sebbene non siano alla stregua di un Il nome della rosa di Umberto Eco hanno però un’accuratezza nelle descrizioni, un’attenzione al dettaglio “storico” nell’arredamento, nei vestiti, nei gesti che definiscono essi stessi un’epoca e un certo modo di vivere e comportarsi tali da meritarsi una lettura appassionata solo per questo sforzo – ma perché fin dalle prime battute c’erano molte cose che non quadravano. Ho subito cercato le informazioni del libro, perché mi risultava impossibile che si trattasse di un libro “tradotto”. In genere, in romanzo autopubblicato (cosa che di per sé implica una maggior attenzione ai dettagli da parte del lettore esigente) quando le tempistiche d’azione, anche le più semplici, non combaciano, il testo è intriso di frasi involute e piene di errori grammaticali, questi particolari svelano immediatamente un autore alle prime armi che si nasconda dietro uno pseudonimo inglese. E invece pare proprio di no, sembra che Christi Caldwell sia una rinomata scrittrice anglosassone di romance regency di discreto successo.
Ma non posso fare a meno di citare alcuni strafalcioni che ho sottolineato nel romanzo.
Oltre un metro e novanta, il torace e le spalle ampie erano pieni di muscoli in evidenza, così diverso dai gentiluomini dell’haute Ton.
Katherine sentì la prima fitta di caldo di quella giornata, rivelata dal rossore che le tinse le guance. “Ehm, ecco!”
Non ho cuore di estrapolare oltre. Ma per corroborare e avvalorare la mia recensione, ecco uno stralcio di trama:
All’inizio, la protagonista Katherine va con la sorella Anne a una non meglio definita “Festa del gelo” a cercare un “fantomatico ciondolo a cuore” che dovrebbe far loro incontrare, e quindi sposare, un Duca, obiettivo ultimo della sorella ambiziosa della goffa e ingenua protagonista. A parte il fatto che la cosa viene data per scontata, quasi si dovesse sapere benissimo in cosa la Festa del gelo consista, nessuna minima descrizione neppure degli arredi della Fiera, Katherine e Anne sono andate da sole, senza “chaperon”, e al massimo dell’imprudenza, si dividono praticamente subito per andare ognuna per la propria strada alla ricerca del ciondolo fatato. In un susseguirsi di vicissitudini abbastanza insulse, Katherine si ritrova a sprofondare nelle acque gelate del Tamigi (Il fiume pare che geli sotto Natale e che allegri giovincelli vi ci pattinino sopra; ma ecco che a un certo punto il Destino ci mette la sua zampa e una lastra di ghiaccio si rompe ma soltanto lei, la pulzella protagonista cade nelle acque gelide del Tamigi, in un buco che tanto ricorda quelli tondi fatti dagli esquimesi per pescare… tutti gli altri sani e salvi ai bordi a guardare lei che annaspa annegando) e viene salvata da un Duca, appunto, che però è burbero e maleducatissimo. Ora, sorvolando la maleducazione dell’uomo – e mi risulta davvero difficile pensare che anche il più negriero degli uomini dell’epoca si comportasse in maniera così villanzona di fronte a una signorina tremante di freddo – ma dopo la caduta nel Tamigi, la nostra eroina resta con i vestiti bagnati (e, ricordo, siamo sotto Natale, il clima dovrebbe essere al di sotto dello Zero a Londra) coperta solo da una giacca che il nobile le ha lanciato con malagrazia, per diverse decine di minuti e poi, con tutta agilità viene portata in braccio dallo stesso nerboruto galantuomo fin dentro casa (quei vestiti bagnati, oltre a esser ormai diventati una ghiacciaia naturale, immagino fossero pesantissimi, difficile trasportare una pulzella, per quanto minuta, con tutto lo scafandro di gonne, sottogonne, allarga gonne, mutandoni e corsetti, tutti bagnati e tutti gelati) e tutto questo mentre la povera sorella Anne chissà dove si trova, ancora, tutta sola a una Festa del gelo animata solo da cartomanti e poco di buono…
Arrivata alla fine del secondo capitolo, ho “capitolato” (perdonate il bisticcio di parole). Non si poteva continuare. La mia mente urlava chiedendomi a gran voce “Perché?” Perché, di grazia, vuoi massacrare il tuo intelletto leggendo questa roba? Ok, non sono le 50 sfumature ma pur sempre è robaccia, scritta malissimo, con nessuna attenzione ai dettagli, ai costumi e alle rigide etichette dell’epoca nonché tradotto in maniera pessima, con errori così grossolani da far impallidire chiunque si intenda almeno un poco di “buona scrittura”.
E ho dato ascolto alla mia “anima interiore”. Basta castronerie, basta libri brutti. Devo ringraziare Kindle per questo: avessi comprato il libro di carta avrei sciupato un bel po’ di alberelli. Con questo, un click su “cancella libro dal Kindle”, e il gioco è fatto. Nessuno si accorgerà mai neppure che questo libro l’ho comprato.
C’è però una domanda (polemica) che mi sorge spontanea: vuoi vedere che per certi generi letterari uno basta che scriva una qualsivoglia stupidaggine (mi impongo di essere educata e di non usare il turpiloquio) e i lettori se la leggeranno senza colpo ferire decretandone un immane successo?
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