NON SI VIVE DI SOLO PANE (MA DI SUSHI SI PUO’?)

Non si vive di solo pane, dicono. Vero, anche perché, essendo celiaca, io probabilmente morirei al secondo o terzo morso della prima pagnotta. O perlomeno mi divincolerei come un’anguilla tra spasmi addominali e altri dolori vari per tutto il corpo. Essere celiaci non è una cosa facile. Alla lunga ci si fa l’abitudine, certo, ma per chi, come me, ha scoperto questa patologia in tarda età e ricorda sapori, odori e le emozioni che questi evocano sarà sempre una sottrazione, un impedimento, una punizione. Poi, certo, il rovescio della medaglia è comunque lo stare meglio, non avere più quei brutti mal di testa e l’aver bloccato la cascata inarrestabile di ulteriori malattie autoimmuni che, da un certo momento in avanti ho iniziato ad avere e della cui causa non conoscevo le ragioni fino a quando non ho avuto la diagnosi ultima. Celiachia. Vabbe’. Grazie al cielo ce l’ho fatta, soprattutto ringrazio di averla avuta diagnosticata e abbastanza velocemente. Oggi sono cinque anni. E la situazione ancorché difficile sul piano psicologico, è molto migliorata.

La pandemia non ha facilitato le cose. Nel primo lock-down era difficile potersi spostare, andare nei grandi magazzini a reperire cibo gluten-free e come tutti mi sono industriata da sola a farmi il pane, nonostante la penuria di lievito di birra o lievito secco. Ma soprattutto, la pandemia ha chiuso uno dei bar più amati, l’unico in città che offriva cornetti e pizzette senza glutine a chiunque e che ovviamente era frequentatissimo da tutti noi celiaci. Scoprire che aveva chiuso per sempre è stata una cosa quasi devastante. Sembrano stupidaggini, e probabilmente lo sono, ma il semplice gesto di ordinare al bar “cappuccino e brioche” a noi celiaci è precluso. Specialmente perché a Bologna – so che non è così dappertutto, sono stata a Napoli e ho trovato prodotti gluten free per celiaci in quasi tutti i bar anche nei quartieri meno frequentati, per esempio – non trovi mai nulla che sia predisposto per chi ha questo tipo di problema e spesso mi è capitato anche di essere trattata con sufficienza dai ristoratori che non vogliono prendersi la responsabilità di servire “una come me”. E’ brutto sentirsi emarginati e in un certo qual modo mi sento vicina a chi vive questo tipo di discriminazione tutti i giorni.

Sembra una stupidaggine, dicevo. Lo è. Alimentarsi ci si riesce ad alimentare sempre, basta avere un certo tipo di attenzione, di sopportare magari a volte gli sguardi ironici di chi non capisce il problema (o non ci crede, e ciò accade molto più spesso di quanto non si possa pensare, i miei genitori, per esempio, non capiscono, non credono, ironizzano sul fatto che sono “ossessiva” su certe accortezze e solo dopo due corse veloci in ospedale perché in preda a sintomi preoccupanti da contaminazione, anche il marito si è convinto che è meglio usare cucchiai differenti e non contaminare cibi di uso comune). E anche il semplice desiderare da tempo di andare a mangiare sushi diventa un sogno da cullare piano piano.

Ieri sera ho realizzato il mio sogno. Con tanta angustia, preoccupazione, e circospezione mio figlio mi ha accompagnato al Sushi che lui usa abitualmente e abbiamo cenato in placida compagnia al suon di Hosomaki e Nigiri, tutto accompagnato da Salsa di Soia Gluten Free. Ebbene, è stata una cena divina. E le ragioni sono molteplici: la prima è che finalmente dopo tante restrizioni, tornare in un ristorante, seduti al tavolo – anche se in due – a cenare e chiacchierare allegramente è stato liberatorio. Un grande sospiro di sollievo, la sensazione che il buio è finalmente passato. La seconda, appunto, il fatto che ho potuto soddisfare un desiderio latente da tempo e niente di doloroso è successo poi. Sono pienamente soddisfatta e sorrido anche stamattina al pensiero di quanto mi sia goduta quelle due ore in compagnia di mio figlio maneggiando bacchette come un’asiatica professionista.

Sorrido e saluto l’estate in arrivo.

Due cose a margine:
1. Il nome del ristorante Sushi aggiunge significato all’uscita. Mika è da sempre la mia Musa e guarda un po’ dove sono andata a mangiare ieri sera?
2. Alla fine della cena mi hanno offerto, come di consueto i tradizionali biscottini con dentro il bigliettino profetico. Guardate cosa c’era scritto nel mio:

Inoltre chiedo scusa per le orribili foto. Mio figlio mi sgrida sempre. 🙂

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