
La malattia dei miei genitori riporta tutto in prospettiva nella mia vita. Dopo anni di indipendenza, casa, figli, marito, hobby, scrittura, traduzioni, cucina e altre attività amene, mi ritrovo a trascorrere con mia madre un pomeriggio e in qualche modo a goderne.
Non sono stati genitori facili, amorosi e affettuosi come l’ideale di italica tradizione vorrebbe: definirli “particolari” è rendere la loro immagine e il loro ruolo più soffice, più accettabile. Ma in fondo, a mente fredda, riconosco la fortuna che ho avuto ad averli. Avrei potuto nascere in una favela brasiliana o peggio, essere una delle mogli schiave, senza volto né identità dell’Afghanistan. Invece ho avuto una buona vita, in un certo senso agiata e per almeno una parte della mia adolescenza, un fratello con cui litigare a morte e solidarizzare costantemente. Un fratello che ho perso di vista per molto tempo e che ritrovo oggi, con capelli più grigi ma sempre bellissimo come in questa foto.
Perché la vita ti perde. Ti fa perdere.
E poi ti ritrova. Ti fa ritrovare.
Chiacchierando, tra una sigaretta e l’altra – di mia madre – accese a ripetizione, ritrovi la vecchia libreria carica di album e ne sfogli alcuni: stranamente tutti ordinati, tutti ben conservati. Ricordavi scatoloni pieni di foto alla rinfusa, sfogliate a casaccio in pomeriggi invernali a chiedere “E questa chi è, mamma?” “Ah, è la “tale”, come era bella qui e che brutta che si è fatta oggi”. Pettegolezzi di un tempo, critiche e chiacchiere davanti a un caminetto con nonna ancora in vita e ansiosa di curiosare anche lei tra quei cimeli.
Prendo in mano uno di questi album, uno che riconosco come mio: fotografie di una vita passata. Amici di cui non ricordo il nome, fidanzatini estivi sulle cui lettere ho ricamato doodle infiammati e sul successivo silenzio (oggi si chiamerebbe ghosting) ho versato calde lacrime giurando di morire d’amore eternamente e di cui oggi non ricordo praticamente nulla se non “l’amore eterno” che ogni estate giuravo.
Sorrido guardando quella ragazzina che non riconosco. So che sono io ma non sono più così da tanto di quel tempo da credere a stento di essere esistita.
Poi vedo foto che vorrei aver sepolto, che credevo aver bruciato da tempo; una parte della tua vita che ho già cancellato da decenni. Mia madre non lo ha permesso. Non ha voluto gettare nel fuoco quelle foto per via dei volti amici che oggi non sono più e che ci sono ancora cari oggi.
Mi ritrovo così ad abbracciare con affetto quella lei così lontana da me anche se sono io, con altri colori e sorrisi forzati e mentalmente scambio con lei un “cinque” virtuale, sorridendole perché, in fondo, quella lei-che-non-sei-tu mi ha insegnato tanto in termini di resilienza e forza. E ringrazio perché sono in vita, ci sono ancora e senza falsa modestia, sono orgogliosa di chi sono diventata.
Ritrovare una mamma e un papà non più forti e vigorosi, non più vanitosi mi mette, dicevo, tutto in prospettiva. La vita scorre. La vita perde e la vita ritrova.
E io sono in quel mezzo, ad assaporarne i minuti, a ringraziare per esserci ancora e per aver vissuto tutto, anche il male, e aver imparato.
E ritrovo la foto mia e di mio fratello, scattata una domenica mattina di quasi cinquant’anni fa, mentre ridendo e facendoci i dispetti assaporavamo una serenità che allora davamo per scontato.
E’ bello ritrovare la vecchia vita di allora e dirsi: l’ho vissuta.