DELL’INVISIBILITA’ VISIBILISSIMA

Tre anni fa circa diedi un taglio netto a tutte le collaborazioni che mantenevo con blog e gruppi di scrittura. Ero esausta, infastidita e delusa principalmente del mio operato e dei miei traguardi, ma, non lo nego, anche del non aver raggiunto quegli obbiettivi che speravo: accantonando la modestia che mi ha sempre contraddistinto, forse penalizzandomi, lo ammetto, avrei voluto avere più successo, laddove “successo” per me è da intendersi considerazione, lettura, apprezzamento, attenzione verso ciò che ho scritto negli anni e pubblicato. Del resto chi scrive o fa arte un po’ egocentrico e vanesio lo deve essere di default e io, pur schernendomi, ammetto che avrei voluto esser più considerata.

Da lettori, principalmente, e da colleghi in seconda battuta.
Ciò non è stato.

Sono pronta ad ammettere che la responsabilità di tutto questo è mia e soltanto mia: molto di quello che ho scritto e pubblicato non è di valore, non vale la carta su cui è stato stampato e lo accetto. Ma un pizzicorino mi assale e cresce dentro di me: la maggior parte di ciò che ho letto negli dieci anni, nello stesso genere mio e non, che ho visto pubblicato e osannato come l’ultimo capolavoro era, se non inferiore a ciò che ho scritto e pubblicato io, perlomeno allo stesso livello. Quindi, forse la colpa per il mio mancato “successo” può attribuirsi alla mia incapacità di vendermi e di mettermi in mostra. Cosa di cui non sono affatto capace, non fa parte della mia natura, e pertanto, una volta accettato questo aspetto, ho capito che era il momento di lasciare andare tutto.

Senza neppure troppi rimpianti.
Sono sincera.

Ho cominciato con il lasciare i blog per cui recensivo libri scritti da altri. Con la promessa che mi sarei poi dedicata a scrivere storie, ma storie che non avrei più fatto leggere a nessuno. Credevo che comunque inventarmi mondi, situazioni, personaggi e storie d’amore (quelle erano imprescindibili) avrebbe fatto comunque bene alla mia psiche e mi avrebbe comunque permesso di rifugiarmi nel “mio angolino tranquillo” dove recuperare forze virtuali e reali vagando con la fantasia. Inizialmente è stato così. Poi, piano piano mi sono resa conto che non provavo più piacere a scrivere. Un tarlo mi attanagliava: perché faticare così tanto, perdere ore di sonno, leggere, rileggere, rileggere ancora, correggere, modificare, tagliare, rileggere un’altra volta se poi tutto questo gran lavoro non porta a nulla? E non in termini di soldi ma di letture?

E senza rendermene conto, ho appeso la penna al chiodo.
Senza più aver voglia di riprenderla in mano.

“Ti tornerà la voglia, torna sempre”. Mi dicevano. Così era stato a cicli alterni in un periodo di circa vent’anni, anni in cui ho scritto miriadi di racconti, pubblicato decine di romanzi, scritto centinaia di recensioni. Oggi però la voglia non torna. Non torna più. Ho quattro romanzi da terminare. So come fare ma non ho voglia di prenderli in mano e andare avanti con le loro storie. Inoltre la forzata immobilità della scrittura porta a riprendere con fatica e a non essere più fluidi come un tempo.

Non so più scrivere.
O perlomeno credo di non saperlo più fare.

Fa male. Scrivere mi manca. L’ho scritto spesso. Era un modo soprattutto di “sanificarmi la mente”, “pulire il cervello”, attivare le endorfine, mantenere lubrificati i neuroni. Era un modo per prendermi cura di me stessa, lasciare andare il resto, i problemi, i litigi, le amarezze. E tutto d’un tratto, finito. Puf! Sparito.

Sono rimasta alla finestra ad aspettare.
A guardare.

E nello stesso tempo mi dicevo: ho sempre la scrittura. Di altri. Il parlare di scrittura, da parte di altri più autorevoli di me. Scrittura, anche se non scrivo, è pur sempre il mio primo grandissimo amore. Voglio sempre parlarne, sentirne parlare, ascoltarne, leggerne. E piano piano mi sono resa conto che non era così. Una nausea sottile si insinuava in me. Non ne potevo più. Un po’ per via dei soliti litigi su Facebook e altri social che lentamente mi davano il voltastomaco, un po’ semplicemente perché mi era venuto a noia tutto. Un lungo, gigantesco sbadiglio.

In altri tempi, e non è bello dirlo, ma ormai che sono in ballo, balliamo e confessiamo anche le magagne personali, dicevo, in altri tempi, se usciva un romanzo di un amic* gioivo nel leggerne la presentazione, se invece a essere lodat* e osannat* per l’immediata pubblicazione era un* “rivale”, una sottile invidia mi assaliva, invidia che si traduceva in frenesia: dovevo pubblicare anche io. Dovevo vivere lo stesso che stava vivendo l*. Volevo quel momento anche io: la parola fine sul manoscritto, l’invio alla casa editrice, la lettera in cui mi si accettava come autore, la data di uscita, l’editing estenuante, la prima bozza di copertina, la “cover reveal” con un blog, il blog tour, le prime recensioni su Amazon, le recensioni dei blog, i commenti sulla pagina FB e, ovviamente i rendiconti – perché diciamocelo, vendere è conferma di successo raggiunto -; insomma, l’invidia che mi prendeva mi permetteva di rincorrere per me stessa gli stessi traguardi che osservavo ne* collegh*.

Non mi succede più neppure questo.
Sono apatica. Indifferente.

Credo proprio che sia finita.

E mi dispiace. Era bello. Ma non so come fare per riprendere il cammino interrotto.

Mi rimane questo blog. Che a lungo ho bistrattato. Forse ci metterò dentro i miei pensieri e sfoghi sconclusionati come facevo all’inizio, vent’anni fa (perché l’ho aperto nel 2002) e siccome non mi leggerà nessuno, sarà come allora: invisibilità visibilissima.

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