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Recensioni: RECENSIONE DI NET1NEWS – SARA FRISON Net1News http://www.net1news.org/nient-altro-che-amare-di-amneris-di-cesare-recensione.html
RECENSIONE DI CROTONE OK
RECENSIONE DI WWW.MONDOSCRITTURA.IT

Immersa nell’atmosfera placida della sera, sul bordo di un lago, a’ zannuta ricorda. Ha sessantacinque anni e non piange da mezzo secolo. Quella di Amneris de Cesare è una prosa elaborata e asciutta insieme. Fin dalle prime righe si avverte la potenza descrittiva dell’autrice che dopo aver definito un’atmosfera molle e languida, procede spedita nel racconto della vita miserabile eppure ricca di umanità della protagonista, Maria. Pochi tratti efficaci per descrivere la sensualità di una ragazza scacciata da casa, considerata brutta e sciocca dai genitori. L’espressione tarda della zannuta, tuttavia, nasconde una mente vivace, capace di riflessioni e considerazioni profonde. Il suo corpo sensuale racchiude una potente energia primaria. A’ zannuta ha amato il sesso fine a se stesso e nella maledizione di una condizione disagiata, accoglie come una benedizione l’arrivo di molti figli. La vita di Maria scorre parallela a quella del paese calabrese dove è nata. Paese remoto, dalla natura prorompente, dove la radio rappresenta l’unico ponte con il resto del mondo. Paese abitato da una miriade di personaggi secondari alcuni dei quali balzano all’improvviso in primo piano acquistando sangue e vigore grazie a una manciata di chiaroscuri sapientemente dosati. Paese di cui a’ zannuta conosce la miseria, i ritmi antichi, i pregiudizi e malcostume ma da cui non si allontanerà mai. L’umanità descritta dalla Di Cesare, tuttavia, non viene brutalmente etichettata. Gli uomini e le donne di Nient’altro che amare appartengono alle più disparate tipologie. Il padre di Maria, alcolizzato e violento, non abusa di lei ma la umilia e la scaccia di casa. Altri individui, profittatori e violentatori agiscono vigliaccamente, anche in gruppo. C’è chi ama Maria perché vede in lei la trasposizione di un perduto amore. C’è chi la prende con dolcezza e la ripaga materialmente, chi la ama davvero. Ci sono individui disinteressati che provano pietà e cercano di aiutarla. <<<continua a leggere su Mondoscrittura>>>
RECENSIONE DI LAURA COSTANTINI:
Da Laura et Lory due scrittrici in rete: Chiariamo subito un punto. Io e l’autrice di questo romanzo non siamo d’accordo su una cosa fondamentale: l’attribuzione di genere. Come è facile evincere dalla copertina, questo romanzo è stato inserito dall’editore Centoautori nella collana Palpiti. Lo recita lapalissianamente la fascetta in alto, non a caso fucsia e con un bel cuoricino per far capire anche ai più tardi tra i lettori che siamo di fronte a un libro ROSA. Secondo me questo è un errore clamoroso. Intanto è notorio che i lettori maschi leggono poco le femmine. Intanto è notorio che i lettori maschi si piccano di disprezzare i cosiddetti libri d’amore. E soprattutto, se aveste letto questo romanzo, sapreste che NON è un libro d’amore e che l’autrice, che stimo come persona oltre che come scrittrice, si fa un grosso torto in questa autoghettizzazione di genere. Chiarita la premessa, andiamo a spiegare. Nient’altro che amare (il titolo non mi fa impazzire, tante volte non si fosse capito) è un romanzo. Punto. E’ una storia, una bella storia. E’ uno spaccato sociale. E’ una testimonianza di quale inferno potesse (possa?) essere la vita di una donna in un contesto provinciale e chiuso che l’autrice colloca nel meridione d’Italia (siamo in Calabria) ma atteneva (attiene?) a molte altre realtà geografiche. La protagonista assoluta è una donna al di fuori di qualsiasi scontato cliché normalmente venga associato al genere rosa. Non è bella Maria, detta ‘a zannuta. Ha i denti davanti irrimediabilmente sporgenti che le danno un’espressione da ciota, da stupida. Non è ricca, non è elegante, non è colta. Per i suoi compaesani non è neanche una brava donna, anzi. E’ decisamente una zoccola. Perché sebbene nasca e viva in una realtà repressa e repressiva (delle donne sia chiaro), le piace fare sesso. Le piacciono gli uomini. E accetta di buon grado ogni figlio che il suo ventre concepisce. <<<continua a leggere su Lauraetlory>>>
“Si tratta di un romanzo tanto piccolo quanto profondo, narrato efficacemente in prima persona. Paradigmatico, addirittura, nel ritr arre una figura di donna che, pur essendo fuori da ogni schema, è forte, schiettamente umana e capace di amare. Tematica non nuova, ma sempre attuale, sempre in grado di muovere l’animo e di fare meditare sul mistero dell’esistenza. Le convenzioni sociali e il perbenismo ancora una volta ne escono sconfitti. Maria “’a zannuta”, come l’evangelica Maddalena, ha infine bevuto dal vero calice della vita. Ella ha tanto peccato, ma ha tanto amato, e soprattutto ha riconosciuto la sua piccolezza di creatura.Con una prosa sciolta, funzionale e, direi, grezzamente poetica, l’autrice ci regala un forte ritratto di donna che potrebbe figurare tra quelli che il grande De Andrè ha immortalato con la sua musica. <<<leggi tutto su StrepiTesti>>>
RECENSIONE DI Fabio Musati, un artigiano della scrittura:
Questo non é un romanzo per donne. Perdonatemi la parafrasi della famosa opera di Cormac McCarthy, ma penso che sia un’ottima introduzione per il romanzo d’esordio di Amneris Di Cesare, inserito un po’ forzatamente sotto la collana Palpiti con tanto di bandella rosa da Centoautori Edizioni. Il breve romanzo, ambientato in un paesino calabro degli anni sessanta, gira tutto intorno a questo personaggio, disegnato splendidamente nella sua interezza dall’autrice. Tutti gli altri personaggi le fanno da contorno, spesso umiliandola – ‘le donne mi odiavano, gli uomini mi perseguitavano’ – eppure la figura di Maria esce prepotentemente come il personaggio positivo della storia, che vince con l’amore la grettezza e le violenze di una piccola comunità retrogada e ignorante. Vince grazie alla sua interezza. Maria non dispone delle mille maschere sociali che rendono possibile e accettabile la normale vita borghese, dove cio’ che si pensa, si dice e si fa sono tre atti ben diversi della rappresentazione umana. Lei é sempre ‘a Zannuta, la stracciona sempre gravida, disprezzata da tutti eppure desiderata come oggetto delle voglie sessuali di mezzo paese. Un personaggio che rimanda all’Accattone di Pasolini o alle tante puttane raccontate poeticamente da De André. Lei non sa Nient’altro che amare e di fronte a lei gli altri si dimostrano per quello che sono veramente: spesso belve, raramente uomini e donne. Un bell’esordio questo di Amneris Di Cesare. Un romanzo scritto bene e, soprattutto, onesto. Non é poco.
Interrompo il silenzio da me annunciato tempo fa causa mancanza di argomenti per riprendere con le recensioni dei romanzi. Questo è di un’autrice che conosco personalmente e che stimo: Nient’altro che amare ( anche se non è solo così). Come in un famoso quadro di Magritte, non vi lasciate ingannare dal titolo: non è un romanzo intimista. Ossia lo è ma solo in parte. La protagonista di questo movimentato e palpitante racconto, tanto per attenersi al nome della collana dell’edizione Centoautori, parla quasi più dell’Italia della ricostruzione del dopoguerra, di cui sembra assurgere a simbolo. Un’Italia ferita, affamata e bistrattata, piena di buona volontà e ansiosa di riscatto. Un riscatto che a Maria la Zannuta viene negato per gran parte del romanzo. Ha una strana bellezza questa donna, appena oscurata da una dentatura esagerata, che al giorno d’oggi potrebbe essere rimessa a posto da un banale apparecchio, una bellezza carnale che a molti uomini smuove i più bassi istinti, della quale non sembra peraltro del tutto consapevole. Se proprio dobbiamo giudicarla, un pietoso tribunale non potrà che assolverla, perché Maria ha usato il suo corpo solo per amore, lo stesso elementare amore che non nega a nessuno degli uomini con cui si unisce, e che trasmette, centuplicato, ai figli che genera. Per lei amare è come respirare, per questo alla fine non possiamo operare nessun tipo di giudizio nei suoi confronti, invece nell’ambiente ipocrita di cui è circondata appare come vittima designata, vittima delle comari saccenti che la processano di continuo, poiché è facile sentirsi superiori a lei, così nuda e senza nessun tipo di maschera, rifiutata perfino dalla famiglia di origine, una sorta di brutto anatroccolo dal nobile animo di cigno, dotata però dell’intelligenza del cuore – da poco rivalutata – che invece all’epoca dei fatti sembra quasi un handicap che la rende troppo buona e arrendevole. Un personaggio a tutto tondo Maria ‘a Zannuta, un poco paragonabile a certe miti eroine dei romanzi della Morante, triturate dalla guerra, vere vittime della storia, di cui rimangono le reali e tangibili testimoni.
“Nient’altro che amare”: faccia a faccia con Maria “a’ zannuta” Come ormai saprete dal mio ultimo post, l’avventura con le interviste ai personaggi sta per chiudersi, almeno per il momento e con le modalità finora seguite. Tra le ultime interviste che vi propongo c’è quella di oggi, in cui Amneris di Cesare, scrittrice al suo primo romanzo ma non nuova nel mondo della scrittura, si è calata nei panni della protagonista del suo “Nient’altro che amare”, pubblicato con Cento Autore Edizioni. Ho rivolto qualche domanda a Maria, soprannominata Zannuta, per conoscere meglio questo personaggio e la sua storia.
Maria, so che nel tuo passato ci sono esperienze dure da ricordare, a cominciare da quel nomigliolo che ti hanno affibbiato tanto tempo fa… ma vorrei chiederti di partire proprio da lontano: mi racconti qualcosa del tuo passato? Gioia mia, che tti dire?Zannutasugnu, e lo sono sempre stata. Da quando ero una picciuliddra. C’avevo una faccia da coniglia, con quei denti sporgenti lì, e lo sguardo un po’ perso nel vuoto, da stupida. E tanto intelligente non sono stata mai, mica ho potuto studiare come ifigghjidei ricchi, io! Sono andata a scuola quel tanto che bastava per non esser proprio proprioanalfabeta, a leggere e a far di conto ho imparato. Poi mio padre mi ha mandato a scuola in parrocchia, da Don Oreste, per imparare a saper fare tutt’i cos’e fimmene, non so se mi spiego: cucinare, cucire, tenere pulita una casa… Che anche se tanto, così brutta e ciòta come parevo, e non mi sarei mai trovata un marito, questo era quello che pensavano i miei, comunque a servizio avrei sempre potuto andare e qualcosa avrei potuto portare pure a casa. Ecco. Ero una figlia buona, troppo buona, che al mio paese chi è troppo buono significa che è fesso. Ma questo non significa che non avessi orgoglio. Quando mio padre ha fatto quello che ha fatto, io me ne sono andata. E ho deciso di non piangere mai più dopo quella volta lì. Questa faccia mia non è stata mai più rigata da una sola lacrima in cinquant’anni, lo giuro sul ricordo di Rosario mio, il figlio di cui non so più nulla da tanti anni! <<<<<<continua su Anime di Carta>>>>>>
La vita di Maria ‘a Zannuta è decisa fin dalla nascita: la madre la segna con quel nome che le resterà appiccicato per tutta la vita, il padre la considererà un essere inferiore solo perché donna (capiddri longhi cirveddru curtu); per lui e per tutti sarà ‘a ciota, la stupida.Al paese mio, un soprannome è per la vita, e può perseguitarti, può condizionare il tuo destino e persino scriverlo. Zannuta fu il mio e da quel momento non mi ha mai più abbandonato. In qualche momento mi ha fatto persino compagnia.
Cresciuta negli anni sessanta in un piccolo paese della Calabria, Maria segue il suo destino di figlia non amata da entrambi i genitori. Gli uomini, brutali animali senza leggi e senza sentimenti, si approfitteranno di lei e del suo corpo sensuale fin da giovanissima, certi che resteranno impuniti perché uomini; perché le donne sono tutte sgualdrine, che siano consenzienti o che vengano prese con la violenza. E Maria non si ribellerà mai e li lascerà fare, perché sa che la sua voce non avrebbe alcun peso. Rimasta incinta dopo la prima violenza, Maria si vedrà levare il figlio, Rosario, da suo padre, che lo cederà al padre della creatura in cambio di un furgoncino. Consapevole di non poter più vivere con i genitori dopo questa crudeltà, la ragazza andrà via di casa.Mi lasciava andare per togliermi dai piedi e avere casa libera per la sua intimità. E la generosità che mostrò in quel momento, deve esser davvero stato tutto l’amore che era riuscita a racimolare e regalarmi: quattro grembiuli e un maglione, di lana, per la stagione più fredda. Mio padre non mi avrebbe dato neppure quelli, ma in quel momento non c’era. E lei mi salutò sulla porta, agitando una mano e aspettando che io fossi sparita alla sua vista per rientrare.
Inserito il 13 settembre, 2012 da Alice de Carli Enrico in Recensioni
Maria a’ zannuta, Maria à cunigghja, è una donna sola, come sola lo è sempre stata. Nata in una famiglia dove l’amore le è stato negato da un padre abituato a darsi al bere e a umiliarla e da una madre inerme e silenziosa, ha imparato a subire ma ad andare avanti con le piccole cose. In un paese del sud dove l’apparenza è ciò che più conta e le tradizioni sono legge, dove la rispettabilità non vede la violenza e le ingiustizie perpetrate da chi detiene il potere verso chi è meno fortunato e la figura femminile è ancora relegata ai margini, Maria si fa strada nella vita a testa bassa e con una muta determinazione, senza pretendere né chiedere. Il suo è solo amore, “nient’altro che amore”. Il modo che ha di accettare le cose così come si presentano, belle o brutte che siano, la rende capace di provare un amore e un affetto per gli altri dalla natura incondizionata, libero da vincoli e legami, bisogni e speranze. Il suo è amore privo di fronzoli e smancerie, concreto così come la terra, che Maria è capace di restituire al mondo nella stessa misura in cui a lei è stato negato. Quindi non è “nient’altro che amore” quello che nutre per tutti e sei i suoi figli, ognuno nato da altrettanti uomini che hanno incrociato il suo cammino.
Maria a’ zannuta, quella dai denti sporgenti, che non è bella ma che ha ru mele dint’i gamme, il miele tra le gambe, racconta la sua storia, ora che ha sessantacinque anni e cala la sera, lì sulla baia, mentre lei versa lacrime che da mezzo secolo non bagnano i suoi occhi. Solo che queste sono lacrime di gioia. Ai lettori scoprire perché.
“Nient’altro che amare”, l’opera di Amneris Di Cesare pubblicata nel maggio di quest’anno dalle edizioni Cento Autori, è un romanzo da leggere. Se ad incuriosire non bastasse la storia – che è resoconto crudo, lucido e realistico non solo della vita di una donna, ma di una donna che vive in uno spaccato sociale forse dimenticato ma ancora presente in molte realtà geografiche – occorre anche lodare lo stile dell’autrice, fresco e spigliato nel corso di tutta la narrazione e, per questo, estremamente coinvolgente. Ad aiutare e ad arricchire il racconto di spessore e vita è anche la scelta di riportare delle espressioni in dialetto, con le cadenze tipiche dei luoghi. Tuttavia, tra i tanti motivi che potrebbero spingere all’acquisto di questo libro, il più importante tra i tanti è che, semplicemente, vi piacerà.


Oggi vi voglio parlare di un piccolo romanzo d’ esordio:
Nient’altro che amare di Amneris Di Cesare ed. Cento Autori (Collana Palpiti pp 120, 11euro ).La quarta di copertina:È la madre a darle quel soprannome, a’ zannuta. Una madre che non l’ha mai amata per via di quei denti sporgenti che le danno un’espressione che vagamente ricorda quella di una coniglia. Non l’ha mai difesa da un padre violento e ubriacone che, come tutti in paese, l’ha sempre considerata una ciòta, una stupida, una che non serve ad altro che a divertire gli uomini, grazie al corpo maledettamente sensuale che si ritrova. Ma Maria non sarà mai come lei. Amerà i suoi figli, tutti, indistintamente e nonostante li abbia avuti, spesso, dopo aver subito violenza. Perché come l’animale a cui assomiglia, Maria è prolifica, forte e mansueta. Ma non provate a portarglieli via, quei figli. Perché come i conigli, Maria sa mordere. La vita come l’amore. Perché Maria è una che ama, una che non sa fare nient’altro che amareHo iniziato e finito velocemente la lettura del romanzo perché la prosa è agevole anche se intercalata da frasi dialettali che la rendono viva e immersa in una realtà rurale ormai lontana, tipica del dopoguerra e della ripresa degli anni 60 che però tocca marginalmente il sud). Qualcuno dice che non è un romanzo d’amore: ebbene io posso affermare che invece è un romanzo d’amore. Addirittura di ogni tipo d’amore: grandissimo amore, non amore, diverso amore, amore calpestato. Amneris De Cesare affronta infatti sia l’amore negato per essere ‘a Zannuta, una bambina brutta che poi diviene donna, emarginata, calpestata, perché femmina, brutta e povera, addirittura sciocca – come se la bellezza fosse la porta dell’intelligenza- prima dalla famiglia e poi dalla società maschilista del paese. L’amore passionale e carnale, quello senza tante spiegazioni, istintivo e umano per il bel tedesco. L’amore stupito, riconoscente e grato, che le insegnerà la dignità e la condurrà alla riscossa e quello per i figli,l’amore sublime, materno, che la fa lottare, e che la conduce come l’ unica bussola della sua vita. Se non è questo un romanzo incentrato sull’amore allora cosa dobbiamo dire? E’ vero che si affrontano molti temi, ma tutti ruotano intorno a questa donna, attratti dal miele tra le sue gambe o quello che traspira dalla sua mente che non è sciocca per niente. La conclusione mi ha un po’ ricordato una commedia di Edoardo De Filippo, tra l’altro splendida, Filumena Marturano, in cui c’è la riscossa di una donna che lotta con dignità per l’amore e per i suoi figli.

Rivista Inkroci, recensione bonsai di Heiko Caimi
Maria, detta zannuta a causa dei denti sporgenti, non è amata dalla madre, che se ne vergogna, né dal padre, che non la difende dagli abusi degli uomini. A causa del suo corpo sensuale e prorompente, Maria sarà sempre al centro delle attenzioni maschili e, lasciata la famiglia, si costruirà una coscienza e valori basati sul suo maggiore talento: quello di saper amare.
Leggila tutta qui: http://goo.gl/5CqYOm
#amnerisdicesare, #letteraturameridionalista, #sensualità, #storiedamore, #amore,#sentimento, #nientaltrocheamare — con Heiko H. Caimi e Amneris Di Cesare
Trama: La chiamavano ‘A Zannuta, per via dei suoi denti sporgenti. È il marchio di una donna che dalla vita ha ottenuto davvero poco e che, lei stessa per prima ha ammesso di averne ottenuto indietro solo calci. Un periodo peculiare che segna il progressivo ma inesorabile cambiamento sociale da mondo agreste a società moderna del secondo dopo guerra, Maria nonostante abbia purtroppo tutta la sua comunità contro cercherà di vivere per sé e per i suoi figli, adattandosi a fare ogni tipo di lavoro, per poter sperare in un futuro in cui lei per prima non riesce a credere.
Contenuti: è molto difficile approcciarsi a una storia di questo tipo senza lasciarsi coinvolgere dalla toccante vita di questa protagonista, ultima tra gli ultimi, e nonostante questo capace di arrivare nel profondo del lettore a rimestare emozioni e sentimenti che a volte rimangono sopiti. Al di là del titolo, che lascerebbe presupporre altro, la storia di Maria insegna tanto: in primo luogo il rispetto verso di sé, anche quando hai la cittadinanza intera tua nemica. Ma si va oltre, per arrivare alla concezione dell’odio profondo verso le donne, ritenendole oggetti sessuali se non proprio una figura inferiore, un retaggio che nella storia che l’autrice ci racconta sembra appartenere ad altri tempi ma che proprio per questo, valutando le radici profonde di ieri, si riesce a comprendere anche l’origine del male di oggi: violenza, femminicidio, discriminazione, odio. Tutte idee sbagliate, tutti atteggiamenti da condannare, che il lettore vive sulla sua pelle nel momento stesso che si confronta con la storia di Zannuta. Una donna fragile, che avrebbe meritato un’altra opportunità. Che forse la vita le regalerà troppo tardi. Mi ripeterò, ma diventa molto difficile apparire oggettivi dinanzi alla sua vita di dolore e sofferenze. Ma è un percorso necessario. La storia, alla fine, insegna a non odiare, a non giudicare nessuno né dalle apparenze né tantomeno dalle proprie origini, serve a insegnare a tutti quanti noi che ognuno ha una sua specialità e che pertanto ha diritto di vivere e realizzarsi. Ci insegna il rispetto, a lottare contro ogni tipo di odio. Maria insegna che essere donne sole e vessate, non necessariamente comporta una vita di stenti e sconfitte. Il suo amore alla fine è l’amore per i figli, e forse per la vita stessa che in qualche modo, pur avendola rifiutata, cerca di riabilitarla.
Personaggi e Ambientazione: sull’atmosfera, a tratti decadente e in molti passi angusta e claustrofobica, soprattutto a livello interiore, si respira con forza l’aria di una società immota, che va avanti e si modernizza solo perché è obbligata a farlo. Un contesto che ci tocca molto da vicino, proprio perché appartiene a quel sud dell’Italia dove ancora si viveva la società civile con sospetto, dove ancora retaggi e tradizioni non vorrebbero essere intaccati dalle nuove tendenze, per quanto tale processo alla fine si dimostri ineluttabile. La trama è centrata su Zannuta, sulle sue passioni e la sua semplicità, una voce vivida e delicata che mostra la sua ingenuità e tutto l’ardore possibile. Gli altri personaggi sono di passaggio, soprattutto quelli maschili, spesso violenti, altre volte candidi amanti, in alcune occasioni persone buone, che danno alla donna un’opportunità che lei riesce a cogliere quasi inconsapevolmente. E poi ci sono i suoi figli che crescono, pagina dopo pagina, dimostrandosi comunque più uomini a volte dei loro stessi padri, ma che rimangono nella prospettiva materna, che li vede sempre piccoli, sempre bisognosi del suo affetto e della sua dedizione.
Stile e forma: il libro scivola via nelle sue 120 pagine con leggerezza, nonostante l’argomento piuttosto intenso. Non si rilevano imprecisioni e lo stile è capace di accattivare l’attenzione del lettore, nonostante la presenza di tutti i regionalismi che contribuiscono a creare l’effetto di aderenza al territorio, di vedere l’esotico magari nella nostra stessa nazione e a rielaborarlo in termini personali. Perché Zannuta ha le sue origini, il suo dialetto, ma di certo potrebbe parlarne uno qualunque dei nostri, perché la sua storia purtroppo non si modifichi affatto. La gestione della trama è buona, nonostante la sua brevità, il ritmo del narrato è ben gestito. Unico neo forse è la conclusione troppo precipitosa a livello temporale nell’ultima parte del libro, laddove forse il lettore meritava di avere maggior spazio per rielaborare il percorso della donna.
Giudizio finale e conclusioni: Niente altro che amare è un libro intenso e molto duro. Non solo per l’argomento trattato ma per lo strascico emotivo che lascia dietro di sé. Una lettura dedicata in primo luogo agli uomini, per cogliere il danno che porta spesso con sé il pregiudizio e la discriminazione, soprattutto se accompagnata all’assenza di rispetto. Ma il suo raggio di azione, come racconto, si estende a tutti coloro che vogliono combattere le origini dell’odio basato sulle differenze di genere, per rendere giustizia alla storia di una donna, Maria, che si dimostra una grande eroina del nostro tempo
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